Cosa vuol dire essere colti? Accumulare conoscenze, risultati accademici? Esprimersi con un linguaggio sofisticato? Una persona con queste caratteristiche spesso viene considerata tale e per giunta definita intelligente. Forse quando parliamo di intelligenza artificiale ci riferiamo a questo, anche senza volerlo. Se così fosse, mettiamoci pure il cuore in pace: il livello di elaborazione delle informazioni raggiunto dalle macchine è già adesso di molto superiore a quello umano. Quindi siamo spacciati nella nostra ignoranza? Destinati ad essere succubi dei computer? In buona parte già lo siamo, ma una speranza c’è. Si chiama EI, intelligenza emotiva. Daniel Goleman pubblicò un libro con questo titolo nel lontano 1995. Allora lo lessi e in questi tempi, dove non si parla che di chat gpt e simili, i suoi contenuti continuano a ronzarmi in testa.

Goleman definisce l’intelligenza emotiva come la capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni, di riconoscere e rispondere alle emozioni degli altri.  E’ fatta da una combinazione di competenze tra cui l’autoconsapevolezza e l’autogestione. Le persone con un’elevata intelligenza emotiva sono più brave a gestire le interazioni sociali, comprendono come le loro emozioni influenzano il loro comportamento e sono in grado di riprendersi dalle battute d’arresto e di adattarsi ai cambiamenti.

E se la vera cultura derivasse dalla profondità emotiva, dall’autoconsapevolezza e dalla capacità di empatia e connessione con gli altri e con il mondo naturale?

L’intelligenza artificiale, come ho detto, può raggiungere un alto livello di erudizione attraverso l’elaborazione di vaste quantità di informazioni, ma non può sviluppare una cultura reale, perchè le manca un’autentica esperienza umana, le manca la capacità di provare o incarnare emozioni, quindi non può coltivare empatia o compassione allo stesso modo degli esseri umani.

Se consideriamo l’intelligenza emotiva come la chiave per navigare nel nostro mondo interiore, allora quale potrebbe essere il veicolo attraverso il quale condividiamo le nostre esperienze, trasmettiamo i nostri valori e costruiamo profonde connessioni umane? Lo storytelling.

Lo storytelling è più di un semplice modo di trasferire informazioni. È un modo di comunicare attraverso l’esperienza vissuta e di condividere emozioni che non possono essere facilmente trasmesse attraverso la logica o l’analisi.

E’ vero, l’intelligenza artificiale è in grado di generare storie in pochi minuti, analizzando dati relativi alle emozioni. Ma si tratta di storie basata su algoritmi, non può connettersi con un altro essere umano attraverso l’esperienza di un evento vissuto e condiviso. Può parlare di emozioni, ma non può suscitarle.

Prendiamoci il tempo per ascoltare noi stessi, connettendoci con un sé più profondo ed essenziale. Questo viaggio interiore è necessario per comprendere il nostro posto nel mondo.

Per coltivare una cultura reale, umana, forse dobbiamo concentrarci sullo sviluppo della nostra consapevolezza emotiva, sull’ascolto degli altri e sulla condivisione delle nostre storie.  Cultura che emerge silenziosamente tra i rumori del mondo, legata alla consapevolezza dei veri valori della vita . Che abbiamo dentro e solo noi possiamo comprendere.